ROGER WATERS – THE DARK SIDE OF THE MOON REDUX

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Il 6 ottobre scorso Roger Waters, membro fondatore e autore di quasi tutti i testi dei Pink Floyd, ha dato alle stampe il suo nuovo album dal titolo “THE DARK SIDE OF THE MOON REDUX”, una rilettura dell’album capolavoro della band britannica uscito esattamente 50 anni fa, ed ancora oggi considerato uno dei migliori album rock di sempre.
Al di là di sciocche polemiche da bar sul perché di questa rilettura, sul dualismo all’interno della band con il chitarrista David Gilmour ecc. ecc. , ad un primo ascolto l’album presenta una rilevante valenza artistico-musicale.

Waters celebra, a modo suo, uno dei progetti meglio riusciti (a mio parere insieme a “THE WALL” e “ANIMALS”) usciti dalla sua penna e dalle note degli altri membri dei Pink Floyd. Senza dubbio questo nuova versione soffre di una eccessiva verbosità che appesantisce il tutto, ma ad 80 anni suonati il buon Roger può permettersi questo ed altro. Emerge tutta la sua carismatica personalità, tutto il suo peso artistico.

Waters non ha mai fatto mistero della sua convinzione di essere l’unico ed il solo deus ex-machina della band, ascrivendosi i meriti del successo degli album e portando in tribunale, senza successo, gli altri membri quando, senza di lui, volevano continuare a pubblicare
album col nome Pink Floyd.

Ma a prescindere da ciò, questo suo ultimo lavoro spoglia l’album dei magnifici assoli di David Gilmour e delle parti di Rick Wright alle tastiere e pianoforte per un arrangiamento più scarno, quasi a creare un sottofondo per i testi dell’autore (alcuni rimaneggiati ed
attualizzati). La voce sussurrata enfatizza il concept originario dell’album e rende fluido lo sviluppo che possiamo a tutti gli effetti definire narrativo.

La scaletta si sviluppa come nell’album del 1973:

  1. Speak to me
  2. Breathe
  3. On the run
  4. Time
  5. Great gig in the sky
  6. Money
  7. Us and them
  8. Any colour you like
  9. Brain damage
  10. Eclipse

Nella prima traccia, la voce di Waters recita il testo della canzone “Free four” pubblicata nell’album “OBSCURED BY CLOUDS” del 1972 e colonna sonora del film “La vallée” di Barbet Schroeder. Le parole a cui Waters affida l’incipit dell’album, pur se scritte quasi 50 anni fa, suonano attuali e profetiche della condizione di un uomo anziano : “I ricordi di un uomo in età avanzata / sono le azioni di un uomo nel fiore degli anni / Ti muovi nel buio della stanza del malato / E parli a te stesso mentre muori”. Queste parole sembrano mettere davanti al giovane Roger di allora l’anziano Roger di oggi che porta avanti la sua poetica.

Una scarna ma pregevole versione acustica di “Breathe” lascia il posto allo strumentale (in origine) “On the run” che qui si sviluppa in una versione orchestrale con le parole di Waters a descrivere un incubo di cui aveva preso nota al risveglio : “È stata una rivelazione, quasi patmosiana, qualunque cosa significhi… una lotta con il male, in questo caso una figura apparentemente onnipotente incappucciata e ammantata… non ammetteva confutazioni”.

“Time” viene privata dell’iconica introduzione degli orologi e delle sveglie e affidata alle note di un organo Hammond e di una chitarra acustica con alcuni interventi del Theremin. In “Breathe reprise” la fanno da padrone gli archi che sottolineano con decisione la chitarra acustica e l’Hammond che suonano il tema principale.

“Great gig in the sky” è introdotta dal pianoforte di Robert Walter senza, naturalmente, i vocalizzi originali di Clare Torry. Gli archi e un nuovo pattern vocale si sviluppano lungo il brano mentre Waters legge parti di una lettera scritta da Kendall Currie (assistente del poeta Donald Hall, all’epoca malato terminale di cancro e mancato nel 2018) che ripercorre la loro amicizia.

“Money” viene anch’essa spogliata e rivestita in una chiave più acustica, senza i registratori di cassa e le monetine, ma con un afflato più intimo in cui il testo-invettiva verso il sistema emerge lo stesso in modo prepotente ed attuale.


“Us and them” è molto simile all’originale del 1973, quasi che Waters non abbia voluto rimaneggiare più di tanto l’arrangiamento del compianto Rick Wright, enfatizzando con i cori, a sostegno della propria voce, il bellissimo testo.

“Any colour you like” nell’album originale era uno strumentale psichedelico, con un gran tiro sostenuto dalla chitarra di Gilmour e dall’organo Hammond di Wright. In questa versione è quasi ballabile, unico brano in cui Waters suona il basso e il Vcs3. Il testo aggiunto parla di bandiere, che uniscono o separano, e di quella in cui tutti ci riconosciamo, la bandiera multicolore della Pace : “Quale bandiera? Qualsiasi colore ti piaccia. Blu e giallo… rosa… rosso… nero… arcobaleno… sì arcobaleno”.


“Brain damage” viene introdotta dalla voce di Waters che dice : “Perché non registriamo nuovamente Dark Side?” a cui segue una risatina e subito dopo una nuova frase: “È impazzito!”. Eppure nonostante tutto il brano sottolinea il probabile autocompiacimento del nostro Roger nell’aver portato a termine questa impresa. L’organo Hammond la fa da padrone e ci porta all’inevitabile finale di “ Eclipse”, suggello
di quello che alcuni magari giudicano come un testamento artistico dell’autore, ma che io credo sia solo un altro passaggio artistico.
Ma cosa ci lascia questo album? Pessimismo? La fine di un’era? Assolutamente no! Il battito del cuore iniziale e quello finale (come nell’originale) io lo interpreto come un messaggio di speranza.

Non a caso lo stesso Waters conclude rispondendo oggi alla voce di Gerry O’Driscoll (portiere degli studi Abbey Road), che allora, nel 1973, diceva : “There’s no dark side of the moon really. In matter of fact, it’s all dark” con l’affermazione : “Ti dirò una cosa, Gerry, vecchio mio. Non è tutto buio, vero?”.

Per chi urla alla lesa maestà di un album magnifico ed intoccabile, occorre precisare che può essere anche vero, ma meglio questo progetto accuratamente ideato da uno dei suoi autori che delle improponibili cover di altrettante improponibili band, a parte i Gov’t Mule che nel 2014, a mio modesto parere, ne fecero una brillante versione rock-blues.
Personalmente avrei preferito un album di inediti da parte di Waters piuttosto che una rilettura di un classico, ma non condanno ciò che realizzato, tanto la versione originale è sempre lì a portata di mano, per fortuna!

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